Scorticare le colonne || Spaccare le pareti
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Incontrarsi nelle crepe. Un dialogo con Bayo Akomolafe
di Deborah Maggiolo e Alessandra Sebastiano
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Composizione
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Tra il dire e il fare
di Ljuba Ciaramella e Piermario de Angelis
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Da dove arriva la cucuzza della nonna?
di Anita Fonsati e Angela La Rosa
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Io a Milano non sogno più
di Ljuba Ciaramella e Matteo Gari per Maratona di Visione
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Autopsia di una domanda
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di Ljuba Ciaramella e Matteo Gari
Prendere un treno che parte da Torino con destinazione Milano è un viaggio che non si fa mai da soli, ma viene condiviso con altre persone, per la maggior parte pendolari. Per una ragione o per un’altra, qualsiasi cosa spinga flussi di persone a muoversi in una direzione diversa da quella della loro partenza condividono la ricerca di un sogno, che non riescono a trovare nel luogo da dove provengono. Questo viaggio porta con sé la prospettiva, se non la speranza, di un miglioramento. Le nostre destinazioni ci ospitano rendendoci parte dei loro meccanismi, dei ritmi e abitudini; il viaggio rappresenta una trasformazione da ospitanti a un altrove dove diventiamo ospitati, in un continuo passaggio da uno stato dell’essere all’altro.
Io a Milano non sogno più è un cortometraggio in quattro capitoli realizzato dall’artista Raffaele Cirianni, in occasione della residenza Sguardi Urbani presso Casa degli Artisti, Milano. Nato inizialmente con la prerogativa di essere un archivio onirico allo scopo di mappare quei sogni che spingono giovani da tutta Italia a migrare dalle loro città di origine alla metropoli di Milano, questo progetto si è velocemente trasformato in una ricerca sui sogni che nella città vengono, invece, a morire.
Cirianni da artista torinese ha sperimentato su di sé le dicotomie dell’aura utopica che abita il capoluogo lombardo, iniziando così un’inchiesta che parte dalla questione del pendolarismo, passando alla speculazione edilizia del quartiere Isola e concludendosi con esempi di mutuo appoggio e resistenza alla gentrificazione e al caro vita, come le proteste di Piazza Leonardo, soprannominate dalla cronaca “la protesta delle tende”.
La formula dell’indagine che dà vita alla narrazione è ispirata da esperienze filmiche di Dziga Vertov (L’uomo con la macchina da presa, 1929), Walter Ruttmann (Berlino – Sinfonia di una grande città, 1927) dove la descrizione delle città di Berlino e Mosca viene rappresentata in maniera celebrativa e altisonante durante il periodo di crescita ed espansione delle metropoli moderne.
Nel video Cirianni si pone in contrasto con l’idea della grande città come serbatoio di sogni mettendo in atto una contro-narrazione che mostra come questo modello di città crei disparità sociali, privatizzazione ed espansione capitalistica del suolo pubblico con la conseguente speculazione edilizia e immobiliare.
Per esempio, il quartiere di Isola è esplicativo delle idiosincrasie della crescita capitalistica e finanziaria, incarnate dalla spudorata vendita del suolo pubblico a favore della privatizzazione e il conseguente inganno del modello “green” finanziato dai grandi colossi petroliferi.
Per raccontare questa città, dove i processi onirici sono interrotti, viene messo in atto un processo di contro-narrazione, che è anche estetico, in cui una macchina da presa obsoleta, il bianco e nero e la formula del documentario di inchiesta indipendente, fanno da contuttori dello sguardo schiacciato dall’imponenza del progresso simboleggiato dai grattacieli che rappresentano il modello distopico contemporaneo.
La colonna sonora che fa da sottofondo al video è una canzone trap/drill, genere musicale molto in voga in questo momento storico, prodotta da El Bandito.
L’inchiesta non pone quindi una soluzione, ma si presenta come una domanda aperta che trova un’unica luce di speranza nelle pratiche di cura e di mutuo appoggio, forme di resistenza collettiva schierate per contrastare le distopiche utopie di cui Milano si fa portatrice.
Tornando sul treno verso Torino ci lasciamo alle spalle la città milanese, il sogno può nel viaggio essere messo in pausa, per poi essere ripreso il giorno dopo, quando nuovamente saremo spinti verso la direzione opposta. Durante la permanenza tutte le persone che incontreremo fanno parte di un agglomerato familiare, ma allo stesso tempo distante, che però crea, almeno per un momento, un microcosmo di pratiche di cura e scambio; resistere ed esistere. Dentro alla città che stiamo momentaneamente lasciando si trovano le discrepanze e le contraddizioni che fanno di Milano sia portatrice di un desiderio raggiungibile sia la causa del movimento insonne di chi non riesce più a sognare.
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