Scorticare le colonne || Spaccare le pareti
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Incontrarsi nelle crepe. Un dialogo con Bayo Akomolafe
di Deborah Maggiolo e Alessandra Sebastiano
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Composizione
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Tra il dire e il fare
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Da dove arriva la cucuzza della nonna?
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Io a Milano non sogno più
di Ljuba Ciaramella e Matteo Gari per Maratona di Visione
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Autopsia di una domanda
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Composizione

Anche la più piccola scossa può sconvolgere l’ordine preciso su cui si costruisce l’esistenza. 

E allora l’abitudine diventa un processo chiassoso per disabituarsi al conosciuto.

É impossibile scappare dal rumore, si vive nel brusio che invade le stanze e si trasforma in novità. 

Tutta la vita a progettare. Poi il brusio, che non so se è un lutto o una rinascita.

Ma se la mia casa si allarga, io mi perdo nella rincorsa delle sue pareti.

Ero un essere umano inospitale e nel movimento mi riscopro un’alleanza, traiettoria errante. Attraverso luoghi, vite e sguardi. Ospitare è accogliere e lasciarsi mutare dall’alterità. 

 

Ma quale necessità ho di parlare di ospitalità?

Se non c’è reciprocità non è possibile nessuna interazione. 

Se ospito una persona, devo tollerare quella persona? Ti ospito, ma sei estraneo nella mia dimora.

Compromesso è forse un sinonimo di ospitalità.

Ma tu mi vedi?

Ti vedo. Ospitalità è accorgermi della tua presenza e rispettarla.

Tolgo un po’ di me per ospitare un po’ di te.

 

Ma chi ospita chi? Qual è il punto di vista da cui stiamo parlando?

Anche io sono statə ospitatə. Io posso essere l’altro.

Noi esseri umani da chi saremmo ospitati?

Dalla Terra!

Bella provocazione. 

Non c’è proprietà senza padronə di casa. 

Nessun conquistatore, nessuna conquistatrice. 

Lasciar passare, lasciar entrare. 

Annullare i confini e vedere la libertà muoversi in ogni territorio.

Allora, come me, sei diventatə nomade in una casa che sfugge.

Nessuna gerarchia ci limita.

Costruiamo “un’ontologia dell’ospitalità”.

Ma è impossibile definire ciò che si muove sempre. 

Anche l’inospitale è errante. Capire l’ospitalità significa capire la sua antitesi.

Anti-ontologia. 

 

E se l’ospitalità fosse un processo di conoscenza?

Ospitare non è una scelta morale, è come un entanglement – un intreccio planetario. 

Oppure un innesto nel corpo, indipendente dalla volontà. 

Allora l’ospitalità sarebbe una sensibilità estetica legata al contatto, all’apertura, alla chiusura. 

Ospitalità è temporanea confluenza nella diversità.

Da qui a poco te ne andrai? 

Non dobbiamo farci condizionare da quello che faremo dopo

L’ospitalità parla anche di appartenenza, scambi e connessioni. Intrecci culturali senza inizio né fine.

Che tipo di individui siamo o possiamo essere?

Immersi in relazioni dinamiche con altre corporeità produciamo conoscenza

Come pixel intercambiabili che possono andare in qualsiasi posto

L’ospitalità parla a un noi-collettività. Kinship. Compost.

 

Come si pratica l’ospitalità per creare comunità? 

É un posizionamento che ci fa abbracciare prospettive illimitate. 

Se l’ospitalità è una pratica di cura, possiamo creare tanti mondi, figurazioni alternative, corali. 

Tempo e spazio definiscono e scandiscono l’ospitare, ma in noi collassano. 

L’ospitalità è un’essenza relazionale costante. 

Abitare un tempo perpetuo. 

È in noi, per un periodo indefinito, ipoteticamente infinito.

Ero un essere umano, inospitale. Disumanizzandomi, mi riscopro relazionalità. Ospito, perché non esisto in solitudine. 

Ospitalità è ritrovarsi più vicino.

Ospitalità è creare uno spazio dell’incontro, nelle crepe del presente.

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