Glitched cyber-cosmic bodies

di Leonardo Bentini

Muoversi non è più spostarsi da un punto all’altro della superficie terrestre, ma attraversare universi di problemi, mondi vissuti, paesaggi di senso. Queste derive nelle trame dell’umanità possono incrociare le traiettorie ordinarie dei circuiti di comunicazione e di trasporto, ma le navigazioni trasversali, eterogenee dei nuovi nomadi esplorano un altro spazio. Noi siamo gli immigrati della soggettività.

(Pierre Levy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyber-spazio, Feltrinelli Interzone, 1996)

Pensiero laterale, distorsione della coscienza, moltiplicazione della soggettività, alterazione dei sensi, esplorazione, fluidità. 

Alzo gli occhi, c’è l’aurora boreale. Sono confusa. Dove sono? Chi sono? 

Le mie mani non le ricordavo così. Sembrano diverse. Cerco di ricordarmi chi sono, ma a questo punto a cosa serve? 

Forse potrei viaggiare. Cosa potrei scoprire se non fossi più Io, se da questo momento la soggettività che mi identifica potesse diluirsi all’interno di un cyber-cosmo, potesse ascoltare un universo alternativo di senso, fuori da ogni registro linguistico e dialettico conosciuto nella “realtà”. 

Da quel momento il vostro corpo diventerebbe quello che volete, le persone che avete conosciuto non le ricordereste più, voi non sareste più l’identità che è stata classificata, organizzata, scartata e composta all’interno del tessuto sociopolitico che organizza le nostre vite. 

Il glitch della coscienza, la soggettività nomade, non in movimento ma dialettica, in continua mutazione, tutto e niente contemporaneamente. 

 

Il lavoro di Christina G Hadley si posiziona in quell’interstizio che tutti i giorni consumiamo alla stregua di lavoratrici sottopagate, il web. Arcadia è un luogo in movimento, una comunità di soggettività mutanti. Il rifiuto nella realtà diventa la calce con la quale tirare su le fondamenta della complessa politica di Arcadia: anarchica, cyber-transfemminista e antirazzista. Chiunque può approdarci, basta conoscere la via, basta seguire la Sposa. 

 

Arcadia germoglia dalle ceneri di un mondo sommerso, in un paesaggio post-apocalittico conseguente all’estrattivismo predatorio e insostenibile dell’Antropocene. Christina G Hadley, attraverso una narrazione speculativa, ci guida nella storia della Sposa, una donna vittima del sistema patriarcale che ha preso il sopravvento dopo una devastante crisi planetaria. Sul punto di morte, nel disperato tentativo di salvare dal collasso ambientale la Terra, la Sposa ha portato in un luogo sicuro, che trascende lo spazio e il tempo, piante, animali, esseri umani e non-umani senza esclusione di genere, orientamento sessuale ed etnia, generando Arcadia. All’interno di questo luogo le anime arcadiane possono vivere su più piani temporali e spaziali, possono decidere di mutare in energia, che alimenta, insieme a quella della Sposa, la vita della città.

 

Arcadia è una piccola isola prevalentemente formata da ghiacci e cristalli e perennemente costellata da fenomeni simili all’aurora boreale. Nelle acque cristalline che la circondano, a volte, si possono anche intravedere creature marine. Il punto più alto è torreggiato dal tempio della Sposa, nel quale avvengono rituali e alleanze fra corpi.

 

Questo luogo, che nel nostro mondo esiste all’interno del video-gioco interattivo VRchat, è una porosità nella quale possiamo scivolare per divenire altre, nella quale possiamo reinventare noi stesse e i concetti di corpo e spazio seguendo nuove narrazioni, nuove trame relazionali per guardare da altre prospettive la crisi.

 

Il concetto di fine, secondo l’antropologo italiano Ernesto De Martino, è associabile ad una crisi della presenza. Ovvero, il timore di non poter più essere dentro nessun mondo culturale possibile. In altre parole, un’apocalisse. Arcadia nasce da una fine, quella della Sposa, che si dissolve in questo nuovo cosmo, nel quale il culto e il rito diventano delle pratiche collettive immaginative di radice femminista e queer, alle quali la comunità aderisce sprigionando una forza collettiva, molteplice ed indefinibile. 

 

Il rituale, in un luogo come Arcadia, perde la sua funzione di ripetizione storica, di rievocazione religiosa. Non è più l’esorcismo della fine ma un avvenimento fuori da ogni schema spazio-temporale, che vive nella mescolanza delle identità, nel compost relazionale di cui viene caricato. Le “sopravvivenze” che riemergeranno nelle future celebrazioni all’interno di Arcadia, non saranno le paure, la morte, l’inizio e la fine dei tempi, ma un collasso totale di queste direttive binarie. Dentro e fuori, qui e ora, uomo e donna, non serviranno più, poiché nel registro semantico di Arcadia non significano più nulla. 

 

L’opera di Christina G Hadley immagina pratiche pedagogiche nel cyber-spazio, contro l’utilizzo capitalistico dei dispositivi di videogaming. Arcadia apre una fessura in questa prospettiva, nella quale possiamo imparare insieme ad altre la complessità delle nostre soggettività e dei mondi che abitiamo, virtuali o reali che siano.

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