Leggere il corpo-mente disabile: la visibilità obbligata come dispositivo di oppressione
di Julia Arena
Fiorire nel buio: custodire il glitch tra i silenzi di foreste digitali
di Vittoria Martinotti
a cura di Genealogie del Futuro
Anche se non si vede il mare è sempre in tempesta.
Tentativo di speculazione: non sappiamo vedere veramente.
Siamo diventati trasparenti: abitanti di uno spazio iconico piatto, gigantesco e goffo corpo di simulacri proliferanti senza direzione. Le immagini sono diventate i codici di definizione della realtà. O meglio, di una certa realtà, tagliata seguendo l’equazione semplificatoria che fa coincidere ciò che esiste con ciò che viene visto.
xenia TRE nasce dalla constatazione di questa pervasività e dal tentativo di trovare, al suo interno, punti di discontinuità, latenze e derive che lascino immaginare nuove soglie di visione e inedite zone di emergenza. Porsi in contatto con l’invisibile significa operare infatti un’attenzione distruttiva: frammentare ciò che appare, sfidare le dinamiche di visibilità totalizzanti, lasciare emergere ciò che chiede di essere visto.
Cambiare nelle rifrazioni.
Perché rincorrere l’invisibilità e ingabbiarla in un’immagine – in una specifica estetica – sarebbe stato un vizio di incongruenza, una perimetrazione parziale che avrebbe risolto la potenzialità politica dell’invisibilità nell’ennesimo feticismo della visione. xenia TRE muove invece da qualcosa che non si può vedere e si sente a malapena. Un suono abissale, fragoroso: bloop. Un iceberg sommerso che nel 1997 si spacca, staccandosi da un ghiacciaio antartico: fenomeno registrato da alcuni ricercatori durante un monitoraggio dell’attività vulcanica sottomarina nel Pacifico meridionale.
Era una crepa invisibile. Una vibrazione che si propagava dalla rottura di un intero.
Queste pagine tentano quindi di porsi in ascolto, intercettare l’invisibile come sismografo delle contraddizioni di un determinato sistema, confrontandosi con una complessità allo stesso tempo sociale, politica, antropologica, estetica, filosofica e personale.
L’invisibile non è solo una condizione, ma assume una dimensione spaziale. È la zona dell’oblio, della dimenticanza forzata in cui però persistono, e resistono, le intermittenze delle forme identitarie uniformanti, statiche, immutabili del potere. Nell’invisibile irrompe la clandestinità: nascondersi è una contro-narrazione.
L’invisibilità è un’esperienza di deriva. In altre parole, una processualità in cui di volta in volta possono riscontrarsi silenziamenti e accadere sovversioni, rimozioni e sopravvivenze, testimonianze e decostruzioni.
La sfumatura tra tutto ciò che non è più visto, e quello che non è stato visto ancora.
Panorama: vedi da fuori, da lontano. Davanti a te il mare è calmo. Ignori quanto sia profondo.
Sogno: vedi da dentro, da vicino. Esiti. Ascolti, percepisci. Hai gli occhi chiusi.
Non vedere inquieta.
I’m not here
This isn’t happening
I’m not here
I’m not here
– How to disappear completely in Kid A (2000) Radiohead
I contributi selezionati attraversano queste intuizioni dell’invisibile e ne allargano il campo di riflessione, cogliendone le potenzialità sensibili, per raccontare nuove modalità di percezione, nuovi stimoli temporali, e dispiegando la sua tensione dialettica tra strumento di esclusione e riconfigurazione collettiva.
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