Invisibile: un’introduzione. 

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Il suono come materia architettonica invisbile

di Jael Arazi e Clara Rodorigo

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di Vittoria Martinotti

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Entertainment worker.

Un’opera raccontata

di Daniel Dolci

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Donne invisibili nell’editoria italiana.
Intervista a Roberta Cesana

di Anita Fonsati

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Fonti

per approfondire

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LISTEN.
Il suono come materia architettonica invisibile

di Jael Arazi e Clara Rodorigo

Max Neuhaus, LISTEN, 1966-1968 © Bureau for Listening 2024, courtesy The Estate of Max Neuhaus
Russolo1, Varèse2, Cage3: dare credibilità estetica ai suoni della strada, estrapolarli dal contesto in cui sono generati per introdurli progressivamente all’interno della sala da concerto. Ma perché confinare l’ascolto a una sala? Piuttosto che riprodurre i suoni all’interno, perché non invitare direttamente il pubblico all’esterno? Così, con la sua prima operazione artistica indipendente, nel 1966 Max Neuhaus radunò un gruppo di amici all’angolo tra Avenue D e West 14th Street a Manhattan. Timbrò la mano di ciascuno con la parola “LISTEN” e poi iniziò a camminare verso l’East River, fino a un punto in cui la strada divideva a metà una centrale elettrica e si poteva sentire un «rombo imponente»4.   Con un’azione artistica tanto semplice quanto visionaria, Neuhaus voleva liberare la musica dal vincolo temporale che la definiva per approfondire la sua relazione e interazione con lo spazio, più precisamente lo spazio urbano, quello quotidiano e talmente diffuso da passare inosservato. Se il fattore spaziale non è determinante per la composizione musicale, ma lo diventa successivamente per la sua riproduzione e fruizione, un’opera di sound art è invece indissolubilmente legata al contesto spaziale in cui verrà inserita5. Cage considerava suono, rumore e musica come fluidi in base all’intenzione artistica. Similmente, Neuhaus si occupò del significato di suono e rumore attraverso due tipi di interazione: del suono con il suo spazio e del pubblico con le sue composizioni6.
«In music the sound is the work, while in what I do the sound is the means of making the work, the means of transforming space into place»7 
Max Neuhaus, LISTEN, 1966-1968 © Bureau for Listening 2024, courtesy The Estate of Max Neuhaus

L’opera Times Square (1977), soprannominata anche the hum o Times Square Hum, emerge da una grata situata all’estremità nord dell’isola pedonale triangolare su Broadway tra la 45a e la 46a Strada a New York.  Fu installata nel 1977, rimossa nel 1992 e re-installata nel 2002.  Non vi sono cartelli né indicazioni a identificare Times Square come un’opera d’arte sonora – una scelta deliberata da parte di Neuhaus perché il suono si integrasse nell’ambiente urbano restando invisibile, privo di cornice estetica, come un elemento mimetico del paesaggio acustico. Il risultato è un ronzio continuo e pulsante, ambiguo, «plausibile»8, che cambia tono, timbro e tonalità quando si modifica la posizione del corpo che ascolta. L’opera si sottrae così a ogni riconoscibilità immediata, invitando a un ascolto accidentale, quasi segreto. Times Square non si offre come oggetto da contemplare, ma come esperienza da attraversare: un gesto discreto che destabilizza le abitudini sensoriali e trasforma l’ordinario in soglia di percezione.

 

Times Square si inserisce all’interno di una serie di interventi sonori denominati dall’artista Place Works e realizzati negli anni Settanta in diversi spazi pubblici. Queste opere non si limitano a occupare un luogo preesistente, ma ne costruiscono uno nuovo, agendo come uno spazio da riempire. Il suono è materia architettonica invisibile, che plasma la percezione e trasforma l’ambiente. L’ascoltatore si ritrova coinvolto talvolta in modo inconsapevole, ma l’esperienza dell’opera si compie pienamente solo nel momento in cui emerge la consapevolezza della sua esistenza9. I suoni di Neuhaus non impongono la loro presenza: si mimetizzano, si nascondono, si intrecciano con il paesaggio acustico circostante, amplificandone sottilmente le risonanze senza mai stravolgerlo. In questa logica di sottrazione e invisibilità si comprende come, paradossalmente, una musica insolitamente silenziosa possa mettere in risalto proprio quei suoni dell’ambiente che siamo soliti considerare inquinanti o disturbanti10. È attraverso la discrezione e la sottrazione visiva che queste opere dischiudono una nuova profondità d’ascolto, rendendo udibile ciò che solitamente rimane sullo sfondo, e rivelando l’ambiente urbano come uno spazio sensibile, poroso, in continua trasformazione.

 

Questo elemento di consapevolezza richiama alla mente il concetto di Deep Listening come teorizzato dalla musicista, compositrice e teorica Pauline Oliveros nel suo testo seminale11. Oliveros poneva all’attenzione la differenza tra “sentire” e “ascoltare”, dove sentire significa percepire e riguarda il processo fisico, mentre ascoltare ha a che fare con il prestare attenzione sia sul piano acustico che sul piano psicologico12. Se il sentire prescinde da un’interpretazione consapevole, l’ascolto la richiede. Lo stesso termine deep listening (ascolto profondo) attribuisce al suono una caratteristica spaziale, la profondità, l’estensione. Espandere l’ascolto significa essere connessi all’ambiente che ci circonda in modo consapevole, non essere di passaggio. 

Max Neuhaus, LISTEN, 1966-1968 © Bureau for Listening 2024, courtesy The Estate of Max Neuhaus

In un contesto urbano sempre più frammentato, dove gli spazi tendono a separare invece che a favorire l’incontro e la comunità – rispecchiando un modello sociale che promuove l’isolamento13 – diventa fondamentale prestare attenzione alle strutture che alimentano questo processo. Le opere di Neuhaus offrono riflessioni preziose su come entrare in contatto con gli aspetti spesso invisibili e trascurati dello spazio che abitiamo ogni giorno, attraverso un ascolto profondo – un deep listening in grado di rivelare le dinamiche invisibili che plasmano la nostra esperienza dello spazio.

 

«The work connected people from around the city, forming a spontaneous orchestra»14.

 

La pratica di Neuhaus si distingue per una concezione dell’ascolto fortemente legata allo spazio pubblico, poroso e condiviso, in controtendenza rispetto a un modo di ascoltare rappresentato dalla crescente diffusione delle cosiddette listening rooms. Questi spazi, progettati per un ascolto immersivo, sono caratterizzati da un’acustica controllata, un’illuminazione soffusa e un’esperienza raccolta e intima, creando ambienti che, pur non volendo, evocano l’estetica del white cube nella loro neutralità. Le listening room isolano l’esperienza sonora da ogni distrazione esterna, offrendo un ambiente “vergine” e controllato, dove l’ascoltatore può concentrarsi pienamente sull’esperienza sensoriale.

 

Se l’idea stessa di listening room suggerisce un ascolto introspettivo, focalizzato e meditativo, che si rivolge verso lo spazio di una stanza, le opere di Neuhaus propongono un ascolto aperto e situato, che si sviluppa in stretta relazione con il contesto pubblico e le sue complessità sonore. Neuhaus non intendeva allontanarsi dal rumore, ma lo accoglieva, esplorandone le potenzialità nascoste e invitando a sviluppare una sensibilità capace di cogliere l’inaspettato nel quotidiano. Opere come Times Square e LISTEN non creano ambienti separati, ma amplificano la consapevolezza di ciò che già esiste, suggerendo uno spostamento di prospettiva che non dipende dal luogo in sé, ma da un modo nuovo di percepire il mondo attraverso il suono.

 

Dalla produzione di Neuhaus emerge inoltre il potenziale generativo dell’attività di ascolto, che crea partecipazione e comunità. Per Public Supply (1966) l’artista organizzò un’azione sonora partecipativa presso la stazione radio newyorkese WBAI – quando i call-in shows non esistevano ancora – invitando gli ascoltatori a chiamare e contribuire con chiacchiere, clacson, rumori di un cantiere e suoni di qualsiasi tipo, remixati live dall’artista. In questo caso, il suono divenne uno strumento con il quale far confluire la dimensione privata con quella pubblica, permettendo agli ascoltatori di superare l’intimità dei “propri suoni” per condividerli con il resto del pubblico. L’azione rappresentò un momento di riappropriazione e ricondivisione collettiva e generò una condizione di interazione reciproca tra le persone, i suoni e i contesti da cui i suoni stessi si originarono. In quanto elemento relazionale, il suono supera la materialità, «si emana, propaga, comunica, vibra e agita; lascia un corpo e ne attraversa altri; lega e scardina; armonizza e traumatizza»15. In altre parole, senza alterare il visibile e le condizioni materiali, il suono è capace di sconvolgere, stravolgere e compromettere una situazione. Ma cosa succede quando la definizione stessa di suono è messa in discussione nel contesto cittadino?

 

«Noise Pollution Propaganda Makes You Sick – Noise Propaganda Makes Noise»16

 

Nel 1974 Neuhaus realizzò quella che considerava la versione estesa di LISTEN, raggiungendo un milione di persone con un editoriale per il New York Times in cui criticava il pamphlet contro l’inquinamento acustico distribuito dal Department of Air Resources di New York City, intitolato Noise Makes You Sick. In particolare, contestò la definizione di rumore come «qualsiasi suono indesiderato», sostenendo un approccio più aperto per cui la risposta umana a qualunque suono è condizionata socialmente e non esistono suoni «intrinsecamente cattivi»17

 

Neuhaus era convinto della validità di ciascun suono, ma non escludeva la loro pericolosità per l’orecchio umano. Eppure, così come siamo in grado di apprezzare la bellezza celata in elementi urbani non pensati per essere belli18, dovremmo fare lo stesso anche con i suoni, o con ciò che definiamo rumore. Attraverso l’ampiezza della sua carriera, Max Neuhaus ripose l’attenzione sulle modalità di percezione dello spazio pubblico, esplorando l’ascolto in tutte le sue sfaccettature e potenzialità ed evidenziando il suo ruolo in un contesto di politiche culturali in cui suono e spazio si intrecciano e determinano le condizioni urbane e la socialità degli ambienti costruiti che abitiamo19.

¹ Luigi Russolo (1885-1947), figura iconica del primo Futurismo e del rumorismo, nel 1913 pubblicò il manifesto L’arte dei rumori per integrare diversi effetti sonori nelle composizioni musicali dell’epoca. A questo proposito, sviluppò una serie di strumenti musicali chiamati “intonarumori” per replicare i suoni macchinici dell’era industriale.

² Edgard Varèse (1885-1965) fu un compositore e un innovatore nel campo delle tecniche di produzione sonora. Concepiva le sue composizioni come corpi di suono nello spazio, aritmiche e dissonanti. Dagli anni Cinquanta si dedicò alla sperimentazione di musica elettronica.

³ John Cage (1912-1992) influenzò profondamente la produzione musicale del XX secolo con le sue composizioni d’avanguardia, l’introduzione di suoni quotidiani all’interno delle sale da concerto e un’attenzione rivoluzionaria al silenzio come spazio d’ascolto.

⁴ Max Neuhaus, LISTEN (1988), in Dan Lander, Micah Lexier (a cura di), Sound by Artists, Art Metropole e Walter Phillips Gallery, Toronto-Banff, 1990, pp. 63-68, disponibile su max-neuhaus.estate.

Per approfondire: Arthur Danto, Max Neuhaus: Sound Works, in «The Nation», 4 marzo 1991, disponibile su max-neuhaus.estate.

Per approfondire: Megan Murph, Max Neuhaus’s Sound Works and the Politics of Noise, in «Ecomusicology Review», vol. 5, 2017.

Cristoph Cox, Enduring Work. Cristoph Cox on Max Neuhaus, artforum.com, vol. 47, n. 9, maggio 2009.

Ibidem.

Per approfondire: Jean-Christophe Ammann, untitled article, in Max Neuhaus: inscription, sound works vol. 1, Cantz Verlag, Berlino-Stoccarda, 1974, p. 21; Brandon LaBelle, Background Noise. Perspectives on Sound Art, Continuum, New York-Londra, 2006, p.157.

¹⁰ Per approfondire: David Toop, Ocean of Sound: aether talk, ambient sound and imaginary worlds, Serpent’s Tail, New York-Londra, 1995.

¹¹ Pauline Oliveros, Deep Listening. A Composer’s Sound Practice, iUniverse, New York, 2005.

¹² Per approfondire: Roland Barthes, Roland Havas, Ascolto, in Enciclopedia Einaudi, vol. 1, Einaudi, Torino, 1977, pp. 982-91. 

¹³ Per approfondire: Silvia Cegalin, Il potere del controllo sociale tra distopie e contro-azioni artistiche, kabulmagazine.com, ANATOMIA – PART I, 2020.

¹Brandon LaBelle, Background Noise, op. cit., p. 156

¹⁵ Ivi, p. XI. [Traduzione delle Autrici]

¹⁶ Max Neuhaus, BANG, BOOooom, ThumP, EEEK, tinkle, nytimes.com, 6 dicembre 1974.

¹ Calvin Tomkins, Onward and upward with the arts Hear,«The New Yorker», 24 ottobre 1988, disponibile su max-neuhaus.estate.

¹Per approfondire: Brandon LaBelle, Background Noise, op. cit. pp. 159-160.

Jael Arazi (Milano, 1998) lavora tra Milano e Londra come curatrice indipendente e visual designer. Ha conseguito un BA in Pittura e Arti Visive alla NABA di Milano e un MFA in Curating alla Goldsmiths University. È co-fondatrice di In Lucid Dreams We Dance, piattaforma curatoriale ed editoriale che intreccia la sperimentazione sonora e le arti visive. Collabora con il team di Progetti Speciali di ReA! Arte a Milano. La sua ricerca curatoriale su cultura digitale e il suo impatto sull’arte contemporanea si espande attraverso la scrittura e progetti di design editoriale e visuale, con il nome di Mali Godiva Studio.

Clara Rodorigo (Roma, 1996) è una curatrice indipendente e creative producer attiva tra Milano e Londra. Dopo la laurea in Arts Management all’Università Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Curating alla Goldsmiths University. La sua ricerca indaga pratiche sperimentali e performative, con un focus su suono e poesia, applicate in ambito curatoriale ed editoriale.

Co-fondatrice del progetto In Lucid Dreams We Dance, vincitore dell’11ª edizione dell’Italian Council, ha curato mostre e programmi in spazi come Auto Italia, Chisenhale Studios, Des Bains, IKLECTIK. I suoi testi sono apparsi su Flash Art, Domus, NERO e ArtsLife. Attualmente è Assistant Creative Director presso Threes Productions e collabora con l’etichetta e piattaforma curatoriale parigina Latency.

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